Comunque sia, li osservo. Zaini pesanti sulle spalle, sorrisi, continui sguardi intorno… Escono da un istituto, un liceo classico, più precisamente. Allora il mio sguardo si sposta da loro all'istituto, e non posso non pormi una domanda: cosa ha spinto questi ragazzi a scegliere il liceo classico?
Ciò che ho detto a mia figlia su quale fosse il mio pensiero a riguardo spero non abbia influenzato la sua scelta. Ma ho continuato a pensarci, raccogliendo qua e là immagini, parole, riflessioni che potessero puntellare più chiaramente la questione.
A meno che non si abbia in mente fin dall'inizio la professione che si vuol fare da grandi, scegliere il classico per il puro piacere di studiare letteratura, filosofia, greco, latino oggi sembra una scelta da pazzi. Ancor più se si continua all'Università. Perché farlo, allora?
Assistetti all' "open day" di un istituto classico. La cosa che mi colpì fu che, più che parlare delle materie cardine per quell'indirizzo, si sforzavano di gareggiare con gli altri istituti sul loro territorio, parlando cioè di scienze ("vedete, questo è il nostro laboratorio di fisica, così ben attrezzato…"), di matematica ("sapete, un alunno di questo istituto è stato preso a Ingegneria…"), inglese ("si fanno gite all'estero, per imparare meglio la lingua, per scambi culturali…")
Per carità, andava tutto benissimo, voglio dire, era sensato e giusto parlare anche di quelle materie, ma… e il greco? il latino? la filosofia, la letteratura? che fine avevano fatto quelle materie che sono il reale spazio che i potenziali alunni avrebbero dovuto abitare? Ebbi la sensazione che non se ne parlasse perché, essendo la necessità quella di mettere a confronto il Classico con altri licei o istituti, allora la partita si sceglieva di giocarla sul loro terreno.
Mi era una partita persa in partenza. E forse il calo delle iscrizioni ai licei classici lo dimostra.
A questo proposito c'è un interessante articolo, un'intervista a Giuseppe Zanetto, professore di Letteratura Greca alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Ve lo sottopongo e, anche se non lo leggerete, riporterò qualche suo pensiero.
Condivido molto di quell'articolo, comprese le perplessità e le speranze del prof. Zanetto. Ma… è come se mancasse qualcosa a definire meglio il cuore del problema.
Cuore… Sì, mi viene in mente un altro articolo, su "D" di Repubblica, in cui si invitava i professori a parlare al cuore dei ragazzi. Mi chiedo, allora: si parla al cuore anche quando li si deve convincere della scelta della scuola?
Il professore dice che bisognerebbe "rieducare i ragazzi a frequentare luoghi come teatri o musei, per aiutarli a conoscere la civiltà e le sue opere…". Giusto, ma prima o poi si dovrà pure spiegare loro l'importanza e l'utilità di questa conoscenza.
E infatti è ciò che fa, a grandi linee, il prof. Zanetto, facendo osservare che paesi come "gli Stati Uniti o l’Inghilterra sentono il bisogno di studiare latino, greco e materie umanistiche mai come prima d’ora." Giusto anche questo, ma qualcuno dovrà pur dire da cosa scaturisce e a cosa porta questo bisogno di studiare le materie umanistiche.
Nell'articolo il professore ricorda la frase recitata spesso dai ragazzi: “Il latino e il greco non servono a niente, sono lingue morte”, e aggiunge che, al contrario, dietro quelle materie ci sono "gli affascinanti insegnamenti degli antichi". Nulla da obiettare, ma questo fascino cos'è? Dov'è? Bisognerebbe studiare quelle materie solo per il loro fascino?
Il prof. Zanetto, in proposito, sottolinea che "L’antico non è ancora passato…", ma nonostante tutto "l’uomo moderno non si riconosce più nel pensiero, nel discorso letterario e di conseguenza non riesce nemmeno a cogliere il richiamo alla vita che questo esercita", e che chi legge di cultura greca e latina è risvegliato a "una letteratura che promuove il senso della realtà e promuove quella problematicità della vita umana." "Pertanto", termina il prof., "sostengo l'importanza degli antichi per il recupero di noi stessi. Il liceo classico, che ora sta pagando il fardello della crisi, è il vero luogo da cui ripartire."
Fine dell'intervista. Applausi. Ma sinceri, anche da parte mia. Non solo per l'enfasi nella conclusione, ma anche per le verità dette.
Solo che… cambio pagina e quelle parole progressivamente svaniscono. E questo accade perché hanno tentato di convincermi agendo sulla mia ragione e non sul cuore. Ma la ragione è facile preda di mille altri e più astuti sostenitori di opposte teorie, che vedono ad esempio la scienza come unica medicina per il futuro.
Penso a qualcosa che possa parlare al cuore, allora.
Perché scegliere materie umanistiche? Perché lo fanno all'estero, negli Stati Uniti e non qui?
Non ho in mente una risposta, ma un discorso. Anzi due.
Il 27 agosto del 1964 Robert Kennedy alla convention democratica ad Atlantic City tenne un discorso in cui commemorò il fratello John, ucciso il 22 novembre dell'anno precedente. Un discorso che strappò ventidue minuti di applausi e chissà quante lacrime. Un discorso che emozionò lo stesso Robert Kennedy, che al termine si appartò in un sottoscala da solo, con gli occhi lucidi. In quel discorso Robert Kennedy citò il poeta Robert Frost, ma soprattutto si sentì coinvolto emotivamente quando citò un brano di Shakespeare, tratto da Romeo e Giulietta, in cui Giulietta, presagendo la morte di Romeo sogna che il ricordo del suo amato possa durare in eterno, con la stessa bellezza di un cielo tempestato di stelle.
Cinque anni dopo, il 4 aprile del 1968, sempre Robert Kennedy durante la sua campagna elettorale a Presidente degli Stati Uniti viene informato in auto, poco prima di tenere un comizio nell'Indiana, dell'assassinio di Martin Luther King. Nel discorso che terrà di lì a pochi minuti, il più profondo messaggio che sente di trasmettere, a memoria, alle migliaia di persone che gli sono intorno è tratto dall' "Agamennone", di Eschilo, ricordando a tutti che si arriva alla saggezza attraverso la sofferenza. Il brano faceva parte di un saggio, "The Greek way" sulla tradizione classica greca, che Kennedy amava leggere e rileggere e che tempo prima lo convinse a candidarsi.
Eschilo |
E allora, se la persona che con ogni probabilità sarebbe diventata la più potente della Terra si affida alla letteratura e a citazioni del mondo classico, greco per trovare e trasmettere forza, vuol dire che quelle parole hanno in sé un'inconfutabile potenzialità e conservano una granitica attualità. E venivano dette da un candidato alla Presidenza che aveva fatto un discorso chiaro sul PIL, sul fatto che una nazione non può essere valutata per quanto produce ma per come vivono i propri abitanti, per lo sviluppo della sua istruzione, perché il PIL "non comprende la bellezza della nostra poesia". A pensarci… È terribile… È terribile come la mia generazione abbia disatteso quelle speranze. Oggi sembrano incredibilmente attuali queste parole, in un mondo in cui regna il "mercato" (qualsiasi significato questa parola abbia) e dove il "consumo" ha tolto spazio e vita all'essere umano. È evidente che qualcosa è venuta meno, quel "senso della realtà e della problematicità umana".
Tutti quei discorsi di Robert Kennedy furono tenuti in anni in cui il mondo era sull'orlo della terza guerra mondiale, con la crisi cubana per l'invasione della Baia dei Porci, la guerra del Vietnam in corso, i diritti dei neri ottenuti a un prezzo raccapricciante di vite umane. Mai l'umanità era stata più a rischio, mai aveva vissuto anni più pericolosi.
Bene, in quegli anni, col mondo sul baratro del disastro, cosa fa un candidato alla Presidenza della nazione più potente della Terra? Si affida alla poesia, a Shakespeare, ad Eschilo. Se lo hanno poi ammazzato, Robert Kennedy, il 5 giugno del 1968, lo hanno fatto per le sue idee, per la forza del suo pensiero, un pensiero che poggiava tenacemente su una visione umanistica della società. Erano idee che non piacevano, erano pericolose, troppo progressiste, troppo vicine all'Uomo. Non era un visionario, se lo hanno ammazzato, ma un uomo dalle idee potenti, rivoluzionarie, idee che rappresentavano una speranza per milioni di persone, e disegnavano una nuova società. Ed erano idee nate da una cultura classica.
Ora, scegliere un liceo classico invece che un altro indirizzo, naturalmente, non è che metta a rischio la vita di qualcuno, e non deve far pensare a insegnamenti che carichino troppo di responsabilità. Ma è utile far capire che le conoscenze a cui un ragazzo potrà accedere gli offriranno quegli strumenti indispensabili per disegnare una diversa società, se solo si avesse la forza di farlo.
Immagino, allora, un "open day" diverso, in cui si parli al cuore, facendo leva proprio sulle materie che caratterizzano un indirizzo classico, con questi argomenti. Anche con questi. Se un ragazzo o una ragazza nel sentire queste parole non avvertisse anche un solo battito in più del proprio cuore, o non provasse quella strana sensazione di chi si trova, a sua insaputa, nel luogo da cui è necessario "ripartire", allora è bene che non scelga questo indirizzo. Penso, però, che i ragazzi abbiano più voglia di provare emozioni e di tentare cambiamenti di quanto crediamo. Se solo gli venisse spiegato come e dove possono farlo.